Supplici a Siracusa: una tragedia siciliana

Scritto da Martina Treu.

Teatro Greco di Siracusa, 51° Ciclo di spettacoli classici, 15 maggio-28 giugno 2015.

Traduzione di Guido Paduano

 - Adattamento scenico in siciliano e greco moderno di Moni Ovadia, Mario Incudine, Pippo Kaballà

- Regia di Moni Ovadia

Nel 1921 i Futuristi siciliani pubblicavano un Manifesto che iniziava così: «Senza rimorso, al teatro greco di Siracusa, una folla di passatisti siede per ore col culo a terra per sentire che Agamennone cornificò la moglie...» e proseguiva «Agamennone, Oreste, Clitemnestra?… Ma chi son essi? Chi se ne frega più? Avvenimenti di cronaca mille volte più interessanti registra tutti i giorni la stampa, senza che alcun Eschilo nuovo sorga a romperci le scatole e senza che alcun consiglio comunale si occupi di commemorarli».

Nel seguito del Manifesto i Futuristi attaccavano violentemente le rappresentazioni classiche, chiedendo che i drammi greci venissero sostituiti (o almeno affiancati) da drammi di autori siciliani o dalla conterranea opera dei pupi. Per molti decenni il loro auspicio non si è realizzato: né drammi di autori moderni, né adattamenti in siciliano sono mai stati ammessi nel ‘tempio’ della tradizione siracusana. Per questo, e per altri motivi, il 2015 segna ai nostri occhi una svolta negli annali dell’INDA: la commissione, guidata dal musicologo Lanza Tomasi, apre finalmente le porte a un adattamento in lingua autoctona, tratto da un testo del più ‘siciliano’ dei tragici, Eschilo.

Per di più – altra novità per Siracusa – si tratta di una tragedia in musica che della Sicilia recupera non solo la lingua, ma le sonorità, il ritmo, i colori, le tradizioni, con una commistione di antico e moderno che ha conquistato pubblico e critica e sarebbe piaciuta (crediamo) anche ai Futuristi: basti citare il prologo aggiunto a Eschilo, dove un cantastorie siciliano introduce la vicenda entrando nell’orchestra col suo carretto, in sella a una bicicletta.