Introduzione

Scritto da Paolo De Paolis – Elisa Romano.

Dopo la felice esperienza delle prime due edizioni dei seminari di giovani dottorandi e dottori di ricerca promosse dalla Consulta Universitaria di Studi Latini, il III Seminario nazionale per dottorandi e dottori di ricerca in studi latini si è svolto a Roma, il 20 novembre 2015, presso l’Aula Odeion della Facoltà di Lettere e Filosofia della Sapienza – Università di Roma.

Ancora una volta questa iniziativa ha riscosso un notevole successo, come appare dalle molte proposte che sono arrivate alla Commissione Ricerca della CUSL, che ha svolto il compito di Comitato scientifico del seminario. La gran parte delle proposte, interessanti e ben fondate metodologicamente, sono state accolte dalla Commissione e in questo modo venti giovani studiose e studiosi hanno dato vita ad una giornata intensa e piena di stimolanti relazioni.

Anche per la terza edizione è stata adottata la formula della relazione seguita dall’intervento di un interlocutore, che, prendendo spunto dal primo intervento, poteva proporre approfondimenti ed ulteriori riflessioni. Ne è scaturito un serrato confronto, che ha consentito di discutere con particolare impegno numerose questioni e di valutare le prospettive di ricerca che i temi trattati lasciavano intravvedere. Tutti gli interventi, infatti, hanno preso spunto o dalle ricerche che giovani dottorande e dottorandi stanno svolgendo per la tesi finale, o dagli sviluppi che sono nati dalle tesi già discusse per tutti coloro che hanno già conseguito il dottorato.

In questo modo il seminario è venuto incontro a una duplice finalità: quella di offrire ai nostri giovani una sede di esposizione e di confronto del loro lavoro scientifico, e quello di poter verificare lo stato di salute della ricerca dei giovani che iniziano la propria attività scientifica nel campo degli studi latini.

La serie degli interventi ha toccato tematiche molto diverse: dalla poesia arcaica a quella tarda, dall’erudizione repubblicana all’opera di grammatici e commentatori tardoantichi, dalla poesia di epoca imperiale alla fortuna dei classici. La varietà di queste tematiche è stata il vero filo conduttore dell’intera iniziativa, mostrando come i nostri giovani riescano a muoversi con sicurezza e padronanza in campi tanto diversi, che richiedono competenze tecniche, sensibilità letteraria e linguistica, acribia filologica.

La nostra speranza è che tutto questo impegno e questa ricchezza non vadano dispersi nelle tristi contingenze che l’Università italiana e in particolare gli studi classici stanno attraversando in questo momento. Se per noi vedere l’interesse e le capacità di lavoro scientifico dei nostri giovani è motivo di grande speranza, non possiamo non sentire il peso della grande responsabilità che noi abbiamo nei loro confronti e nei confronti degli studi classici nel nostro paese.

La pubblicazione degli Atti nella Biblioteca di ClassicoContemporaneo vuole essere proprio un piccolo segnale di questo nostro impegno, che consenta a tutti i partecipanti di trovare uno spazio di pubblicazione per i loro lavori. Per questo risultato siamo grati in primo luogo ai Direttori della rivista, che accolgono nuovamente la pubblicazione di questo incontro promosso dalla CUSL; quindi alla Commissione ricerca della CUSL, che ha coordinato l’intera iniziativa e in particolare a Caterina Mordeglia, che ha curato la revisione dei contributi pervenuti; a Lavinia Scolari, che degli articoli ha invece curato la redazione.

La Consulta sta già programmando per il 2017 la realizzazione di una quarta edizione dei seminari, rendendo così stabile una iniziativa che ha ottenuto risultati così positivi e che è divenuta modello anche per analoghe iniziative promosse da altre Consulte. Il nostro auspicio è di avere ancora numerosi contributi di qualità, come è avvenuto per l’edizione di cui ora pubblichiamo gli Atti.

Memoria e sapientia: meccanismi e crisi della memoria in Varrone

Scritto da Irene Leonardis.

By reconsidering the vocabulary of remembering explored in De lingua Latina, the paper aims to point out Varro’s concept of memory: its functioning and its function. According to him, memoria is a manimoria, which remains alive in human mind and transmits knowledge (manet/monet). Together, I examine, through the cognitive metaphor of ‘eating’ and especially of ‘ruminating’, the link between repetition and education. The examples taken from Roman Republican culture, from Quintilian, Philo and Church Fathers show that repeating (‘ruminating’) is the means for acquiring and passing down knowledge. I focus then on the employ of the reflexive ruminari (‘to repeat aloud to someone’). Comparing its use to the chapter devoted to memory in Augustine’s Confessiones, I attempt to reconstruct the distinction, probably made up by Varro, between ‘memory’ and simple ‘repetition’: ‘rumination’ is useful for remembering, but it is not productive memory. As it appears in the fragments of Menippeae, this type of repetition can be mocked in contexts where tradition is considered useless. By this reflection Varro probably wanted to denounce contemporary cultural crisis and the devaluation of traditional upbringing practices. Some evidence will be given to support my suggestion that this discussion about the transmission of memory was originally made in Antiquitates, in order to introduce this work as a monumentum¸ a storage of productive memory for Romans

 

Sulla base del riesame del lessico del ricordo analizzato nel De lingua Latina, l’articolo tenta di mettere in luce il funzionamento e la funzione della memoria secondo Varrone: la “manimoria”, rimanendo viva nella mens, trasmette il sapere (manet-monet). In parallelo, si considera il rapporto tra ripetizione mnemonica ed educazione a partire dalla metafora cognitiva del nutrimento, in particolare del ‘ruminare’. Gli esempi, tratti dalla cultura romana repubblicana, da Quintiliano, da Filone Alessandrino e dai Padri della Chiesa, mostrano che il ripetere (‘ruminare’) rappresenta lo strumento di acquisizione e trasmissione di sapientia. Si esaminano, poi, le occorrenze del riflessivo ruminari (‘ripetere ad alta voce a qualcuno’). Attraverso un confronto con il capitolo sulla memoria presente nelle Confessiones di Agostino, si tenta di ricostruire la distinzione tra ‘ricordo’ e semplice ‘ripetizione’/‘ruminare’, verosimilmente riconducibile a Varrone: il ‘ruminari’ sarebbe funzionale, ma non equivalente alla memoria. Infatti, come emerge dal suo uso nelle Menippeae, la “ripetizione ruminante” è derisa in contesti in cui la tradizione è considerata inutile. Con tale riflessione il Reatino voleva forse denunciare la crisi culturale coeva e la svalutazione delle pratiche educative tradizionali. Alcuni indizi fanno ipotizzare che questa trattazione della memoria fosse originariamente esposta nelle Antiquitates, possibilmente per presentare l’opera come monumentum, come contenitore di memoria viva per i Romani

 

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“Ruminare” il passato: osservazioni sul lessico

Scritto da Antonino Pittà.

The importance of preserving a thoughtful memory of the past is patent in Varro’s antiquarian survey, as can be easily seen not only from the dismembered leavings of Varro’s works, but also from quotations of Varro’s statements in authors like Pliny the Elder. To explain the process of learning ancient history in a proper way, Varro probably employed the metaphor of ruminating: the best way to keep the knowledge of the past alive is to ‘ruminate’ it. However, the right interpretation of the verb ruminor is quite difficult. Due to the fragmentary and corrupt survival of the majority of the occurrences, it is not easy to determine whether ruminor corresponds to the only action of retaining something branded in our minds, or it conveys also the idea of reciting something by heart. In addition to this, sometimes are uncertain the very context, the genre and even the title (as for the loghistoricus Catus or Cato) of the works whence come the occurrences of the verb. Therefore, in this short essay I am trying to discuss some controversial aspects of our sources for the meaning of ruminor.

 

Mantenere vivo il ricordo del passato è un elemento di fondamentale importanza nella ricerca erudita di Varrone, come si può vedere, oltre che dagli sparsi resti della sua produzione, dalle riprese di posizioni varroniane in autori come Plinio il Vecchio. È probabile che Varrone, per indicare il processo di assimilazione della memoria storica, ricorresse alla metafora del ruminare: solo “ruminando” il passato se ne acquisisce una vera padronanza. Tuttavia, interpretare il valore esatto del verbo ruminor nelle sue varie attestazioni non è agevole. Lo stato frammentario o corrotto delle testimonianze rende infatti difficile definire se ruminor, in Varrone e in generale nella cultura romana, indicasse l’atto di ripetere un concetto solo mentalmente o se esprimesse anche una sfumatura “orale” (ripetere a voce). Inoltre, spesso sono controversi il contesto, la natura e perfino il titolo (come nel caso del logistorico Catus o Cato) delle opere da cui provengono le occorrenze del verbo ruminor. In questo breve contributo cerco appunto di mostrare alcune delle aporie poste dal materiale, a volte ambiguo, in nostro possesso.

 

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Note critiche e filologiche ad alcune glosse virgiliane tramandate nel Liber glossarum∗

Scritto da Silvia Gorla.

New conjectures for some Virgilian glosses conserved in the Liber Glossarum with a corrupted text (AM 284, AM 27, AV 433) are proposed, by means of the detection of loci paralleli in the Virgilian scholiography known so far. An exegetical misunderstanding ad Georg. 1, 217, auratis cornibus (AV 300 e AV 301) is lastly found out.

  

Si propongono nuove congetture per alcune glosse virgiliane conservate nel Liber glossarum in forma palesemente corrotta (AM 284, AM 27, AV 433), tramite l’individuazione di luoghi paralleli nella scoliografia virgiliana a nostra conoscenza. Si scopre inoltre un fraintendimento nell’esegesi ad Georg. 1, 217, auratis cornibus (AV 300 e AV 301).

 

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In margine alla glossa AU 301 del Liber glossarum*

Scritto da Michele De Lazzer.

After some remarks on marginal signs of Liber glossarum, it is dealt with textual problems reserved by gloss AU 301 Auratis cornibus: querquos (?) dixit aura plenos, id est rorulentos where it comes into view an embarassing querquos dixit, without correspondence in the source, in Schol. Bern. ad G. 1, 217. If we consider that this voice appears identical – however without the uncertain reference to the oaks – in the previous AU 300,we think about an accidental corruption happened during the first part of making and transmission of the Liber, supposing, as a consequence, that identity with the first term of lemma could have encouraged the scribe to write in AU 301 the same text of the previous gloss. Supposing that this hypothesis is true and thanks to comparisons offered by other glossaries, a quite likely reconstruction may well be suggested about the original text situation.

 

Dopo qualche osservazione in merito agli indicoli del Liber glossarum, si affrontano i problemi testuali che riserva la glossa AU 301 Auratis cornibus: querquos (?) dixit aura plenos, id est rorulentos, dove compare un imbarazzante querquos dixit, senza riscontro nella fonte, in Schol. Bern. ad G. 1, 217. Se consideriamo che la voce si ritrova identica – ma senza l’incerto riferimento alle querce – nella precedente AU 300, si pensa ad un guasto accidentale avvenuto nella prima fase di allestimento e trasmissione del Liber, ipotizzando che l’identità con il primo termine del lemma abbia spinto il copista a scrivere in AU 301 il testo della glossa precedente. Partendo da questa lettura, e grazie al conforto di altri glossari, è possibile avanzare una ricostruzione, abbastanza probabile, della situazione testuale originaria.

 

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"Il lessico sintattico di Prisciano e la tradizione" "degli idiomata casuum*"

Scritto da Elena Spangenberg Yanes.

The books 17-18 of Priscian’s Ars grammatica constitute the first systematical exposition of syntax in Latin, whose theoretical presentation is complemented in the second half of book 18 by a Greek-Latin syntactical lexicon (the so-called Atticismi). This paper aims to investigate the eventual relationships between Priscian’s work and the Latin grammatical genre of idiomata casuum. Therefore, as regards the treatment of verbal and nominal constructions, the Atticismi and previous sections of the Ars Prisciani are compared with the lists of idiomata casuum collected by other late antique grammarians. Such comparative analysis concerns both the exposition of Latin syntax and the lexical translation of Greek terms in Latin and viceversa. This inquiry casts light on a series of differences between Priscian’s doctrine and that of other authors. It is therefore possible both to rule out that Priscian employed directly a list of idiomata and to suppose that he drew on a source common to all texts of that kind, which should have been related also to Arusianus Messius’ Exempla elocutionumThe appendix deals with the treatment of the syntagm dicto audiens in various collections of idiomata, representing a significant case study in the inquiry about the relationships among the various collections as well as about the textual problems their editors have to face.

 I libri XVII-XVIII dell’Ars grammatica di Prisciano costituiscono la prima trattazione sistematica della sintassi in ambito latino, la cui esposizione teorica è completata, nella seconda metà del libro XVIII, da un lessico sintattico greco-latino (o Atticismi). Scopo del presente contributo è indagare gli eventuali rapporti tra l’opera priscianea e la tradizione latina degli idiomata casuum. Si confronta pertanto il trattamento dei costrutti verbali e nominali negli Atticismi e in alcune precedenti sezioni dell’Ars con quello proprio delle raccolte di idiomata casuum di altri grammatici, sotto il profilo sia dell’esposizione della sintassi latina sia della resa lessicale di termini greci in latino e viceversa. Dall’analisi così condotta emerge una serie di divergenze tra l’insegnamento di Prisciano e di altri autori, che consente sia di escludere che lo stesso Prisciano si sia servito direttamente di una lista di idiomata, sia di avanzare l’ipotesi che egli dipenda da una fonte comune a questi testi, connessa anche agli Exempla elocutionum di Arusiano Messio. In appendice si discute del trattamento del sintagma dicto audiens in più liste di idiomata, un caso particolarmente significativo nello studio dei rapporti tra le diverse raccolte e dei problemi di costituzione del testo che alcune di esse pongono.

 

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Il bilinguismo del fragmentum de idiomatibus casuum

Scritto da Silvia Pelosi.

This contribution aims at affording an occasion for considerations on the idiomata casuum textual genre, proceeding from the analysis of the pars graeca of the list preserved in the manuscript of Montecassino Paris, Bibliothèque Nationale latinus 7530. This is the only case known so far of an idiomata casuum list containing latin and greek lemmata, systematically collated. By examining the list, marks of subsequence and disconformity of the greek part come out: hereby some examples will be given, consisting in mechanical translations in greek of errors occurred in the latin text, or in differences from similar texts.

 

Il contributo si propone di offrire degli spunti di riflessione sulla tipologia degli idiomata casuum, a partire dall’analisi della pars graeca dell’elenco conservato nel manoscritto cassinese Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 7530. Questo è l’unico caso noto di lista di idiomata casuum a raccogliere lemmi latini e greci, sistematicamente raffrontati. Dall’esame dell’elenco emergono indizi di recenziorità e disomogeneità della parte greca rispetto a quella latina: se ne forniscono qui alcuni esempi, che consistono in traduzioni meccaniche di corruttele del testo latino, o in divergenze rispetto a testi paralleli.

 

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La scena di riconoscimento tra Eeta e Medea nel Medus di Pacuvio

Scritto da Maria Jennifer Falcone.

Around a third of the fragments surely or most likely belonging to Pacuvius’ Medus seems to come from a recognition scene between Medea and her father Aeetes, which has probably to be placed at the end of the tragedy. An analysis of the formal features of the verses highlights the pathetic character of this scene. On the other hand, a reading of the fontes provides evidence to the attribution of the uncertain fragments and to the dramaturgic structure of the scene. Particularly Cic. Tusc. 3, 25-26 explains Aeetes’ attitude towards Medea: namely, he seems to be driven by the desiderium regni and his hope to recover the power.

 

Circa un terzo dei frammenti tràditi del Medus di Pacuvio o attribuiti con verisimiglianza a questo dramma sembrano provenire da una scena di riconoscimento tra Medea e suo padre Eeta, da collocare probabilmente sul finale della tragedia. L’analisi formale dei versi permette di valorizzare un certo patetismo della scena; l’esame dei fontes aiuta ad argomentare l’attribuzione dei frammenti incerti e fornisce indicazioni di carattere drammaturgico. È soprattutto da Cic. Tusc. 3, 25-26 che si ricavano osservazioni interessanti sull’atteggiamento di Eeta, mosso dal desiderium regni e dalla speranza di rientrarne in possesso.

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A proposito della scena di riconoscimento tra Eeta e Medea nel Medus di Pacuvio. Osservazioni marginali

Scritto da Marco Filippi.

In response to M. J. Falcone’s article on the recognition scene between Medea and Aeetes in Pacuvius’ Medus, the present contribution shares some basic points: among these, the highlighting of the poet’s innovative and creative spirit in the myth treatment, compared with other sources which are handing it down (scil. Hyginus) and the placement of the recognition scene between Medea and Aeetes right after the one between Medea and Medus. Differently, the inserting of the recognition scene between Medea and Aeetes is proposed to happen before the scene of the latter’s ousting. Observations of mainly linguistic character are following; they are helpful to the contextualization of some fragments (attribution of senex to Aeetes in l. 238 R.3 and detection of Pacuvian dictio in inc. inc. trag. 189-92 R.3).

 

In risposta all’articolo di M. J. Falcone sulla scena di riconoscimento tra Medea ed Eeta nel Medus di Pacuvio, il presente contributo ne condivide i punti essenziali: tra questi, l’evidenziazione dello spirito di innovazione e di creatività del poeta nella trattazione del mito rispetto alle altre fonti che lo tramandano (scil. Igino) e la collocazione della scena di riconoscimento tra Medea ed Eeta successivamente a quella del riconoscimento tra Medea e Medo. Si propone, diversamente, l’inserimento della scena di riconoscimento tra Medea ed Eeta precedentemente a quella dello spodestamento di quest’ultimo. Seguono osservazioni di carattere per lo più linguistico, utili alla contestualizzazione di alcuni frammenti (attribuzione di senex ad Eeta al v. 238 R.3 e individuazione di dictio pacuviana in inc. inc. trag. 189-92 R.3).

 

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Chi, cosa resisterà mai a tempestas e a vetustas? Su Cic. Arat. fr. 2

Scritto da Nunzia Ciano.

This paper maintains the hypothesis that is mundus the enigmatic reference of the initial quem of Cic. Arat. fr. 2, 1; on the whole, it is worth the support of various philosophical witnesses related to the indestructibility of the world. Among them two loci of the same Cicero (Ac. 2, 119 and Nat. deor. 1, 100), that are useful to detect the first the Aristotelian matrix of the theory of the immortality of the world, the second the controversy with Lucretius on this issue.

 

Questo articolo sostiene l’ipotesi che sia mundus l’enigmatico referente del quem iniziale di Cic. Arat. fr. 2, 1; su tutto, giova il supporto di vari testimoni filosofici relativi all’indistruttibilità del mondo, tra i quali due luoghi dello stesso Cicerone (Ac. 2, 119 e Nat. deor. 1, 100), utili a rilevare il primo la matrice aristotelica della teoria dell’immortalità del mondo, il secondo la polemica con Lucrezio su questa tematica.

 

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Qualche appunto in risposta a «Chi, cosa resisterà mai a tempestas e a vetustas?» Cic. Arat. fr.2 (N. Ciano)

Scritto da Giulia Fanti.

This paper aims to be an addition to Dr Ciano’s reading of fr. 2 of Cicero’s Aratea. Cicero’s philosophical background will be the starting point for a satisfactory interpretation of tempestas, in the meaning of ἐκπύρωσις: the young Cicero would be here rejecting it, employing the same scenario of fire and stars that we will encounter, one century later, in Seneca’s works. Lucretius’ employment of the word tempestas with the meaning of ‘violent motion’ at the origin of the cosmos would validate this hypothesis further. Moreover, we shall discuss how the mundus and the insignia caeli that Cicero regards unshakeable are nothing but the divine power of the whole cosmos, according to the very Aristotelian-Stoic doctrine.

 

Questo contributo si propone di completare la lettura, offertaci dalla dott.ssa Ciano, del fr. 2 degli Aratea ciceroniani. Il retroterra filosofico di Cicerone è il punto di partenza per una convincente lettura di tempestas nel significato di ἐκπύρωσις, che il giovane Arpinate, avvalendosi di uno scenario igneo e sidereo adottato ad un secolo di distanza anche da Seneca, confuterebbe nei versi del fr.2. L’impiego lucreziano di tempestas in riferimento ad un moto violento e turbinoso all’origine del cosmo contribuisce ad avvalorare questa ipotesi. Inoltre, vedremo come quel mundus e quegli insignia caeli che Cicerone definisce qui indistruttibili altro non sono, secondo la più genuina dottrina Aristotelico-Stoica, che la forza divina motrice del cosmo intero.

 

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La praefatio dell’Epistula Didonis ad Aeneam (AL 83 R2=71 Sh. B.). Retorica e costituzione del testo

Scritto da Brigida Ranieri.

The Epistula Didonis ad Aeneam is an exametric poem of uncertain date (the chronological terms plausible are clearly between IV and IVin. cent.), inserted in the so-called Anthologia Latina, by an anonymous poet probably African. In the praefatio to the Epistula Didonis ad Aeneam, in addition to the dense intertextual texture that this poem weaves with the classical patterns (Virgil, Ovid, Horace), the peculiar attention given by the anonymous author of the poem to the laws of the epistolary rhetoric and rhetoric prefatory becomes essential guide to modern editor of the text in his ecdotic choices. In a text rhetorically connoted, rhetoric itself becomes fundamental criterion for ecdosis.

 

L’Epistula Didonis ad Aeneam è un componimento esametrico d’incerta datazione (i termini cronologici plausibili si collocano ovviamente fra i secoli IV e VIin.), collocato nella c. d. Anthologia Latina e composto da un poeta anonimo con ogni probabilità di area africana. Nella praefatio all’Epistula Didonis ad Aeneam, oltre alla fitta trama intertestuale che il testo intreccia con i modelli classici di riferimento (Virgilio, Ovidio, Orazio), il particolare riguardo prestato dall’Anonimo autore del componimento alle leggi della retorica epistolare e della retorica prefatoria è guida fondamentale per l’editore moderno del testo nelle sue scelte ecdotiche. In un testo retoricamente connotato come questo, la retorica stessa diviene criterio irrinunciabile per l’ecdosis.

 

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Testi prefatori e dinamiche di raccolta dell’ Anthologia Latina: qualche considerazione

Scritto da Maddalena Sparagna.

Starting from the analysis of the prefatory poem juxtaposed to the Epistula Didonis, this paper aims to focus on some liminary texts in the Anthologia Latina connected to collections or well recognizable gatherings of poetries. These texts are characterized by a number of shared themes and elements, which reflect literary models already in use in Latin tradition. Nevertheless they may also provide primary clues concerning the arrangement of the anthology and the early stages of its circulation. Notably, prefatory compositions hint at the role played in the review and in the selection of poetries by the circle of poets and scholars involved in the editorial project of the Anthologia Latina, and this is particularly evident for the most recent writings of contemporary authors.

 

Il presente studio prende le mosse dall’esame del carme prefatorio dell’Epistula Didonis ed estende l’analisi ad altri testi liminari presenti nell’Anthologia Latina, associati a raccolte o blocchi ben identificabili di componimenti. Essi sono caratterizzati dal ricorrere di una serie di temi e contenuti che rimandano a modelli più o meno diffusi nella tradizione letteraria latina, ma sembrano conservare in ultima istanza anche indizi importanti relativi alle modalità di allestimento della silloge e alle più antiche fasi della sua circolazione. Emerge quindi nella revisione e selezione dei contenuti il ruolo assunto dalla cerchia erudita in seno alla quale ha preso forma il progetto editoriale dell’Anthologia Latina, soprattutto per quanto riguarda le opere più recenti degli autori contemporanei.

 

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La tecnica del riuso in Massimiano

Scritto da Emanuele Riccardo D’Amanti.

The text of Maximian’s Elegiae is in several places affected by critical-textual choices and conjectures not always persuasive. The editors accept mostly the lessons of antiquiores, even when they are clearly erroneous. Often the recentiores give lessons, which are right and older than those of antiquiores. The lessons of the Humanistic editions sometimes provide a satisfying sense also of the most tormented places. The review of lessons and the conjectural operations which consider the reuse technique could resolve some critical interpretations.

Il testo delle Elegiae di Massimiano è in più punti inficiato da scelte critico-testuali e congetture non sempre persuasive. Gli editori di Massimiano accolgono per lo più le lezioni degli antiquiores, anche quando sono chiaramente errate. Spesso i recentiores recano lezioni esatte e più antiche di quelle degli antiquiores. Nelle edizioni umanistiche spesso si trovano lezioni che forniscono un senso soddisfacente anche dei passi massimianei più tormentati. Il riesame delle lezioni e le proposte congetturali che tengono c nto della tecnica del riuso in Massimiano potrebbero risolvere alcuni problemi interpretativi.

 

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Una nota a Maxim. Eleg. 1, 63

Scritto da Francesco Lubian.

This paper is devoted to an overall analysis of the much-debated line 63 from Maximian’s Elegy I. After a brief presentation of the context of Elegy I, the author provides a re-examination of the different interpretations of the almost unanimously transmitted text (uenali corpore), as well as of all conjectures proposed so far by editors and scholars (uernali corpore; uernanti corpore; iuuenali corpore; geniali corpore). The article is concluded by a new attempt to defend the paradosis: Maximian does not allude to any supposed inclination to prostitution, but rather emphasises his attractiveness by means of the contrastive adoption of a distinctive feature of elegiac puellae (Prop. 2, 16, 19-22), in a city, Rome, where everything is up for sale (cf. Sall. Iug. 8, 1; 20, 1).

 

Il presente contributo è dedicato all’analisi complessiva del discusso verso 63 della prima Elegia di Massimiano. Dopo una presentazione del contesto del passo e del testo tràdito pressoché unanimemente (uenali corpore), si offre un riesame delle sue differenti interpretazioni, così come dei tentativi di congettura finora proposti (uernali corpore; uernanti corpore; iuuenali corpore; geniali corpore). Segue un nuovo tentativo di difesa della paradosi: con le parole uenali corpore Massimiano non intende alludere ad un proprio indulgere alla prostituzione, ma enfatizza la sua appetibilità giovanile attraverso l’adozione – rovesciata di segno – di uno dei tipici tratti delle puellae elegiache (Prop. 2, 16, 19-22), in una città, Roma, nella quale tutto è in vendita (cf. Sall. Iug. 8, 1; 20, 1).

 

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Il Plauto di Ruzante. Prime ricognizioni sulla contaminatio nella Piovana

Scritto da Isabella Valeri.

This paper analyzes the particular approach to Plautus (and, more generally, to ancient theatre) adopted by Ruzante, focusing on the specific function of contaminatio in his Piovana – one of his “Plautine” comedies, in which he translates Plautus’ Rudens. After recognizing the presence of one scene of Terence’s Heautontimorumenos in Piovana 1, 4 and of two scenes of Plautus’ Mercator in Piovana 4, 9, the paper shows that contaminatio is only a part of a wider range of references to ancient theatre. These “contaminated” scenes belong indeed to a complex and coherent plot, modelled on Plautus’ Asinaria and developed thanks to an erudite and effective “mending” of Plautine and Terentian scenes, cues and images.

Questo contributo prende in esame il rapporto di Ruzante con Plauto e, più in generale, con il teatro antico, soffermandosi soprattutto sul modo in cui egli fa ricorso alla contaminatio nella Piovana – una delle due commedie “plautine”, che traduce in dialetto pavano la Rudens. Oltre a ravvisare la ripresa di una scena dell’Heautontimorumenos nel primo atto (Piovana 1, 4) e di due scene del Mercator nel quarto (Piovana 4, 9), il contributo mette in evidenza come il ricorso alla contaminatio non sia che l’aspetto più immediatamente percepibile di una fitta rete di riferimenti al teatro antico. Le scene contaminate, infatti, si rivelano parte di una trama più ampia e complessa, che Ruzante modella sull’Asinaria e costruisce “rammendando” sapientemente scene, battute ed immagini plautine e terenziane.

 

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Citazioni plautine nella Miscellaneorum Centuria Secunda di Poliziano*

Scritto da Gianna D’Alessio.

The essay offers an insight into the erudite work of the eminent scholar Angelo Poliziano (1454- 1494) on Latin comedy of Plautus. Although Poliziano never dedicated any specific studies to the text and dramaturgy of the Roman playwright, he deeply knew the poetry and works of Plautus. The article examines the citations and fragments founded in his Miscellaneroum Centuria Secunda amidst the many literary and critical works which refers to Plautus in a remarkable modern way. The attention is then focused on the manuscripts used by the humanist (particularly on Vat. Lat. 3870), on the relationship between G. Merula’s editio princeps of Plautus and his philological research, finally, on same aspects and philological proposals in addendum, concerning a new modern critical edition of Poliziano’s autograph of Centuria Secunda, preserved in the Giorgio Cini Foundation, in Venice (signature FGC1).

In questo saggio sono analizzati alcuni aspetti del lavoro filologico ed erudito di Angelo Poliziano (1454-1494) sulla commedia latina di Plauto; anche se il filologo non ha mai dedicato un corso specifico al comico latino, sia nella sua produzione letteraria sia nei sui contributi più squisitamente filologici, ha mostrato una straordinaria modernità di approccio ai problemi connessi alla lingua e allo stile del Sarsinate. Qui sono esaminate le citazioni da commedie plautine presenti nei capitoli della Miscellaneorum Centuria Secunda. In particolare, l’attenzione è focalizzata sui possibili manoscritti conosciuti e usati dal filologo (soprattutto sul Vat. Lat. 3870), sul rapporto con le edizioni a stampa di Plauto, curate, direttamente o indirettamente, da Giorgio Merula e, infine, su alcuni problemi connessi all’edizione critica dell’autografo polizianeo dei secondi Miscellanea, conservato nel manoscritto FGC1 della Fondazione Giorgio Cini sull’Isola di San Giorgio Maggiore a Venezia; si propongono, infine, nell’appendice, alcuni criteri per una possibile nuova edizione, basata sui principi della filologia degli abbozzi.

 

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Debito e ingratitudine: la sovversione del tumulo donum nelle Troades di Seneca

Scritto da Lavinia Scolari.

The paper explores the perturbation of the dynamics of gift and debt in Seneca’s Troades, in the light of the ethical patterns set out in De beneficiis. In this tragedy, Seneca re-writes the reciprocity relationship between Achilles and the Greeks, according to the analogical model of the debt. In fact, Achilles’ ghost accuses the Achaeans of stealing honores due to his Manes, proving their ingratitude. As praemium, the hero requires the sacrifice of Polyxena, which represents a reversal of the ritual practices of the gifts to the dead. In order to grasp the anthropological meaning of this reading, we intend to perform a critical comparison between the representation of the cultual practice by which the Romans honoured their dead, useful to appease (placare) the shadows and to ensure their exclusion from the living world (Ov., Fasti 2, 533-56; 569-70), and the particular inferiae described in Troades. Here, Seneca uses the juxtaposition of the wedding ritual and the cult of the dead – which the Romans felt as extremely perturbing, enough to forbid it (Ov., Fasti 2, 557-62 and Fasti 5, 485-90) – in order to emphasize the impiety claimed by Achilles, which implies the reversal of the positive category of tumulo donum.

Il contributo indaga il sovvertimento delle dinamiche di dono e debito nelle Troades senecane, alla luce dei modelli etici illustrati nel De beneficiis. Nella tragedia, Seneca riscrive la relazione di reciprocità vigente tra Achille e i Greci secondo il modello analogico del debito. L’ombra di Achille, infatti, accusa gli Achei di sottrarre gli honores dovuti ai suoi Mani, dando prova di ingratitudine. Come praemium, l’eroe esige quindi il sacrificio di Polissena, che rappresenta un sovvertimento della pratica rituale dei doni ai morti. Per comprendere il significato antropologico di questa lettura, si opererà un confronto ragionato tra la rappresentazione della prassi cultuale con cui a Roma si onoravano i defunti, che serviva a placare le ombre e a garantirne l’esclusione dal mondo dei vivi (Ov., Fasti 2, 533-56; 569-70), e le particolari inferiae descritte nelle Troades. In esse, la sovrapposizione del rito delle nozze al culto dei morti – che i Romani avvertivano come estremamente sovversiva, al punto da vietarla esplicitamente (Ov., Fasti 2, 557-62 e Fasti 5, 485-90) – è usata da Seneca per accentuare l’empietà pretesa da Achille, che implica l’inversione della categoria positiva del tumulo donum.

 

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«O voluttà del soglio»: Eros e potere nella Tebaide di Stazio

Scritto da Stefano Briguglio.

Tyrants’ lust for power shares significant traits with the erotic attraction; there is an evident link between potestas and its holder.

Starting from Greek precedents, like the philosophical treatises (Plato, Xenophon), historiography (Herodotus) and tragedy (Euripides), I will examine the interweaving of libido amandi and libido regnandi in Thebes - a twine that the poem itself requires. Thanks to the experience of Senecan tragedy and the Latin epic tradition, Statius deepens the study of this crucial issue throughout the Thebaid. There are several important case-studies useful for this discourse: the representation of exiled Polynices as a lover eager to reach his beloved (1, 314 ss.), or as a bull cast away from the herd (2, 323 ss.); or, even more, the dialogue during the night between the hero and his bride (2, 332-63). In addition, it will be considered the relationship between Power and Eros in the perverse declination of the incest, a specific feature of the Thebaid (cf. eg. 4, 88-92; 11, 329-53). These passages allow to appreciate, among other things, the reception of elegiac patterns in imperial epic as well as to identify a fil rouge that runs through the whole poem of Statius.

 

Il fascino che il Potere esercita sul tiranno condivide tratti significativi con l’attrazione erotica; le indagini più acute sulla potestas sottolineano il rapporto quasi amoroso che intercorre fra essa e chi la detiene. Partendo da precedenti greci, come la trattatistica filosofica (Platone, Senofonte), la storiografia (Erodoto) e la tragedia (Euripide), esaminerò l’intreccio di libido amandi e libido regnandi nella Tebaide – un intreccio richiesto dall’argomento stesso dell’opera. Forte delle esperienze del teatro senecano e della tradizione epica latina, Stazio approfondisce lo studio di questo nodo cruciale lungo tutto il poema. Numerosi i casi di studio significativi per questo discorso: la raffigurazione di Polinice esule come un amante impaziente di raggiungere l’amata (1, 314 ss.), o come un toro allontanato dall’armento (2, 323 ss.); o, ancora, il dialogo notturno tra l’eroe e la sua sposa (2, 332-63). Inoltre, andrà considerato il rapporto tra il Potere e l’Eros nella declinazione perversa dell’incesto, contaminazione che grava su tutta la Tebaide (cf. ad es. 4, 88-92; 11, 329-53). I passi esaminati, per quanto selezionati, permettono di apprezzare, fra l’altro, la ricezione di moduli elegiaci nell’epica di età i periale e di individuare un ulteriore fil rouge tematico che attraversa l’intero poema staziano.

 

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Eros e potere nel Bellum Civile di Lucano: proposte di lettura per un confronto con Stazio

Scritto da Maria Rita Graziano.

The paper aims to consider three points about the interaction between eros and power in the poems of Statius and Lucan. The first point is about the personification of the Potestas represented as an elegiac domina, who urges Eteocles and Polynices to kill each other in Statius’ Thebaid. The last two points focus on two episodes of Lucan’s Bellum civile, where Caesar and Pompey ideally relate themselves to Rome as it was their beloved woman. These two examples have some affinities with two episodes of Thebaid studied by Stefano Briguglio.

Scopo di questo contributo è quello di considerare tre punti relativi alla interazione tra eros e potere nei poemi di Stazio e Lucano. Il primo punto si concentra sulla personificazione della Potestas, rappresentata come una domina elegiaca, che induce Eteocle e Polinice a uccidersi a vicenda nel poema di Stazio. Gli altri due punti si focalizzano su due episodi del Bellum civile di Lucano, dove Cesare e Pompeo si relazionano idealmente con la città di Roma come se fosse la loro donna amata. Questi due esempi rivelano qualche affinità con un paio di brani della Tebaide esaminati da Stefano Briguglio.

 

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