Vincenzo Blasi, Teatri greco-romani in Italia

Scritto da Francesco Puccio.

VINCENZO BLASI, Teatri greco-romani in Italia, Cue Press, Bologna 2019, pp. 376).

Colpisce subito, di questo poderoso, dettagliato e accurato volume sui teatri antichi greco-romani in Italia, la dedica che l’autore rivolge all’archeologo siriano Khaled al-Asaad, ucciso dai miliziani jihadisti nel 2015, in quanto si era rifiutato di rivelare dove fossero nascosti i tesori di Palmira. Uno studioso coraggioso e consapevole del patrimonio di cui simbolicamente si era posto a presidio, la cui decapitazione ha segnato uno dei momenti più bui della violenza terroristica che ha insanguinato il nostro mondo; ma anche un uomo che, con questa forma di resistenza, ha fatto della conservazione e della valorizzazione dei beni archeologici, intesi come il modello di una cultura che fosse un valore irrinunciabile da ereditare e da trasmettere costantemente agli altri, la ragione stessa della propria esistenza.

 Come opportunamente ricorda Nicola Savarese nella prefazione al testo, il numero elevatissimo, nei paesi dell’area del Mediterraneo, di edifici teatrali – intesi tanto come teatri veri e propri quanto come anfiteatri e circhi – ancora oggi presenti e visibili, o ricostruiti grazie alle attività di scavo, alle esplorazioni topografiche, alle testimonianze dei testi e delle iscrizioni, è il segno tangibile dell’importanza architettonica e culturale che tali strutture possedevano nel mondo antico.

L’importanza dello spazio teatrale antico, aperto, dinamico e fortemente connesso con il tessuto sociale della comunità, come occasione di partecipazione collettiva o come momento di svago e di divertimento, è dunque testimoniata dalla presenza capillare di tale edificio nelle sue più varie forme e caratteristiche. Occorre ricordare, infatti, che accanto ad un dramma costituito dalle parole, ereditato grazie alla trasmissione dei testi tragici e comici, vero e proprio patrimonio della cultura occidentale, ne esiste un altro, ugualmente necessario, fatto di tutte quelle azioni che hanno vita all’interno dello spazio di rappresentazione. E l’uno non può immaginarsi senza l’altro. Di qui, la considerazione dell’edificio teatrale antico inteso non solo come un contenitore – secondo una visione che meglio si adatta alla nostra idea di teatro moderno – ma anche come un contenuto, ossia come un elemento di dialettica costante con gli altri aspetti della messa in scena, dagli attori al testo, dalle scene alla musica, dagli oggetti alle danze. Del resto, i drammaturghi antichi sono stati essi stessi uomini di teatro, hanno diretto il movimento del coro, supervisionato le prove e progettato la scenografia dei loro lavori, in alcuni casi recitato in prima persona, e comunque, per loro, uno spettacolo poteva dirsi concluso solo nel momento in cui andava in scena e non quando ne veniva completata la scrittura.

Il teatro, dunque, al di là del fenomeno culturale più antico e più longevo della storia dell’umanità di cui è espressione, resiste ancora come manifestazione di una permanenza architettonica forte nel tessuto urbanistico delle città, al punto da diventare spesso occasione di riuso e di riproposizione nel mondo contemporaneo, come dimostrano i tanti festival, le numerose manifestazioni e le svariate rassegne di spettacoli classici che trovano, oggi, una loro suggestiva collocazione negli luoghi antichi.

Di qui, l’opportunità e l’utilità dell’operazione compiuta da Vincenzo Blasi, il quale ci propone un dizionario, presentato in circa duecentocinquanta voci suddivise in ordine alfabetico, destinato allo studio e all’approfondimento, ma anche alla semplice consultazione e all’aggiornamento per quanti, al di là della specificità degli studi o degli interessi di ricerca, abbiano voglia di mettersi in viaggio, attratti dalle peculiarità di tutti quei monumenti greco-romani destinati agli spettacoli e disseminati ovunque sul nostro territorio, dai teatri agli anfiteatri, dai circhi agli stadi.

Un percorso che segue il filo dell’evidenza archeologica e topografica, dando conto degli studi condotti sulle varie aree geografiche da università e gruppi di ricerca, ma che non trascura di riportare gli elementi desumibili dalle testimonianze epigrafiche, documentarie e, naturalmente, letterarie, grazie anche all’ampio apparato di fonti riportate.

Un’utile guida iniziale alla lettura permette, inoltre, di orientarsi nella struttura dell’opera, nella terminologia adoperata e nella suddivisione dei lemmi, con un riepilogo dei principali termini tecnici che offrono le coordinate storico-archeologiche degli edifici e che costituiscono un riferimento imprescindibile per addentrarsi nella complessa nomenclatura che caratterizza i teatri greci e quelli romani e le loro singole strutture architettoniche.

Ciascuna voce è organizzata seguendo il medesimo schema. A titolo di esemplificazione e per dare conto della disposizione generale, scegliamo la località di Elea-Velia, in provincia di Salerno (pp. 143-144). Dapprima vengono indicati dall’autore il riferimento geografico del sito e la collocazione attuale: «Località della Campania nel comune di Ascea (prov. di Salerno), sulla costa del Cilento».

Si passa, poi, alle informazioni di carattere storico-archeologico, esposte in maniera dettagliata e ampia, così da dare conto non solo della fondazione della città, ma anche delle successive stratificazioni ed evoluzioni: «L’area archeologica (accesso da via di Porta Rosa) corrisponde al sito dell’antica città di Velia, colonia greca fondata nel VI sec. a.C. dai Focesi e municipio romano nel I sec. a.C. La città, su un promontorio che si protendeva sul mare, si componeva di tre nuclei: l’acropoli, con il tempio (V sec. a.C.) forse dedicato ad Atena Polias, il quartiere nordoccidentale e il quartiere sudorientale, vero centro politico e amministrativo, dove sono stati individuate l’agorà, l’area portuale e diverse abitazioni. Sull’acropoli, tra il tempio e una strada del IV sec. a.C., è situato il teatro greco, di età ellenistica, con funzione anche di bouleuterion».

Di qui, si arriva all’indicazione dell’edificio teatrale con una puntuale indicazione delle strutture interne e della relativa nomenclatura, con accenni al periodo di edificazione o di ricostruzione, agli elementi compositivi, ai materiali edili impiegati, all’ubicazione all’interno dell’area archeologica di riferimento, alla funzione svolta e allo stato di conservazione: «Rifatto in epoca romana (II sec. d.C.), conserva connotazioni greche. La cavea (diam. m 47,50), addossata al pendio naturale nel settore ovest e su un terrapieno nella parte nord, presentava ventuno file di gradini divisi in sei cunei. All’orchestra (diam. m 14,50), a ferro di cavallo e separata dalla cavea per mezzo di un parapetto, si accedeva dalle parodoi rettilinee; il rivestimento in cocciopesto del piano ha fatto anche pensare a un utilizzo per giochi gladiatorii o per spettacoli in acqua. L’edificio scenico era probabilmente a parasceni. Del monumento si conservano due cunei delle gradinate e le fondazioni della scena».

Completa il lemma un’interessante apertura sul riutilizzo dello spazio in età contemporanea, un dettaglio non trascurabile che dà conto della funzione che l’area, nella sua interezza, o l’edificio, nella sua specificità, svolgono, così da offrire, non solo agli studiosi del mondo antico ma anche ai fruitori moderni del bene archeologico e museale, una curiosità e un prezioso spunto di conoscenza: «Dal 1998 ospita il festival Velia Teatro, rassegna dedicata all’espressione tragica e comica nel teatro antico, e dal 2010 l’evento Elea-Veli-Archeo-Film».

Un altro elemento interessante, e particolarmente utile alla consultazione del volume, è il corredo di immagini e di ricostruzioni fotografiche che si trovano alla fine di ciascun gruppo di lemmi e relative ai luoghi citati e ai corrispondenti edifici. Conclude il volume, infine, un’ampia e molto ben documentata bibliografia, anch’essa suddivisa sulla base delle singole voci, che fornisce al lettore un ulteriore agio nell’orientamento e nella consultazione complessiva.

 

Francesco Puccio