CUSL – Consulta Universitaria di Studi Latini

II Seminario nazionale per dottorandi e dottori di ricerca in studi latini
Roma, 22 novembre 2013 – Università degli Studi “La Sapienza”

ISBN: 9788868891695

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Introduzione

Scritto da Valeria Viparelli.

Il 25 novembre del 2011 si svolse a Roma il “I Seminario nazionale per dottorandi e dottori di ricerca in studi latini” aperto a giovani studiosi, di nazionalità italiana o straniera, che fossero frequentanti un corso di dottorato (o che avevano conseguito il titolo di dottore di ricerca da meno di tre anni presso un’Università italiana) e la cui tesi vertesse su argomenti inerenti la lingua e la letteratura latina di qualsiasi epoca. L’iniziativa, promossa dalla Consulta Universitaria di Studi Latini (CUSL), nacque dal proposito di conoscere e far conoscere i progetti di ricerca in corso di svolgimento presso le scuole di dottorato italiane e soprattutto di offrire ai giovani studiosi attivi nell’ambito degli studi latini l’opportunità di pubblicizzare i risultati del loro lavoro. Il successo dell’iniziativa, che aveva in Italia ancora un carattere sperimentale e innovativo, ha incoraggiato il Direttivo della Consulta a organizzare, con le stesse modalità e gli stessi criteri, un secondo seminario, quello di cui qui si pubblicano gli Atti, che si è svolto a Roma il 22 novembre 2013.

Il XII libro di Marziale e la metapoetica dei luoghi

Scritto da Sara Sparagna.

Il XII libro di Marziale è un testo complesso e problematico per molteplici ragioni filologiche e storiche. Tradizionalmente visto dagli studiosi come una raccolta di componimenti costituita da un librarius nella sua edizione lunga, questo libro rivela, ad una lettura più attenta, alcuni indizi di unitarietà. Il contrasto fra i tempi e gli spazi (principalmente la Roma del passato e la Spagna del presente) è un buon modo per evidenziare la volontà autoriale e la sua selezione di poemi. Studiare le reti semantiche con un rilevante significato metapoetico può aiutare a mettere a fuoco questa prospettiva interpretativa.

Alcune riflessioni sul concetto di spazio a partire dal XII libro degli epigrammi di Marziale

Scritto da Roberto Mori.

Il concetto di spazio in Marziale è stato spesso esaminato sotto numerosi punti di vista. In questo breve contributo si cerca di dimostrare come esso sia dinamico e sfugga perciò a rigide classificazioni o facili dicotomie, quali campagna/città e Roma/Spagna. Sulla scia delle riflessioni scaturite dalla lettura di alcuni epigrammi del XII libro, si tenterà al contrario di mettere in luce che per Marziale lo spazio è relativo: il luogo in cui egli è a proprio agio è infatti uno spazio sociale, che si può trovare a tutte le longitudini.

"Vitae praecepta beatae". Dialogo e voci in Hor. "Sat." II 3, II 4 e II 7

Scritto da Lorenzo De Vecchi.

All'interno del II libro delle Satire, il significato di II 3, II 4 e II 7 presenta speciali difficoltà, che riguardano il complesso rapporto tra le diverse voci che vi prendono parte: il personaggio di Orazio, i suoi interlocutori, gli autori dei monologhi che occupano il centro di ciascuna satira, Orazio l'autore e, naturalmente, il lettore. Questo articolo vuole mettere in rilievo l'autonomia e l'autorità che, come già altri hanno notato, questi monologhi assumono nelle rispettive satire. L'ironia dell'autore si può percepire piuttosto nella cornice dialogica dei componimenti, dove la voce di Orazio agisce come una sorta di specchio deformante rispetto a quella dell'interlocutore. Dunque serietà e parodia, elaborazioni filosofiche e negazione di ogni dogmatismo filosofico, sono strettamente congiunte in satire che costituiscono variazioni sul tema nullius iurare in verba magistri. La difficoltà di lettura dipende appunto dalla raffinata ambiguità di questi componimenti.

Tra moralismo diatribico e "sal niger" oraziano: per l’esegesi dell’epistola 119 di Seneca

Scritto da Barbara Del Giovane.

Il contributo propone una lettura dell’epistola 119 di Seneca come testo da considerare alla stregua di un vero e proprio “manifesto” della vocazione ascetica, che caratterizza gli ultimi anni di vita del filosofo. L’analisi intende mettere in luce il complesso intreccio tra la rielaborazione senecana di topoi diatribici e la presenza di un filtro poetico oraziano relativamente al genus bioneum. La citazione oraziana dalle Satire (Sat. I 2, 27) è infatti sapientemente inserita in un tessuto retorico in cui pare emergere anche un tentativo senecano di “mimesi” stilistica satirica.

Osservazioni in margine all’"Ep." 119 di Seneca

Scritto da Germana Patti.

L’intervento prende spunto dall’analisi filosofico-letteraria di Sen. Ep. 119 condotta da Barbara Del Giovane e sottolinea le singolarità strutturali e contenutistiche dell’exemplum senecano costituito dalla citazione di Hor. Sat. I 2, 114-16.

Uno sguardo originale intorno a Roma: Pompeo Trogo e Giustino

Scritto da Alice Borgna.

La statura artistica di Pompeo Trogo non ha sempre trovato unanime riconoscimento: da molte voci, infatti, le Historiae Philippicae sono state derubricate a semplice traduzione latina di fonti greche, soprattutto di Timagene di Alessandria. Ancora più severo è poi stato il giudizio riservato a Giustino, la cui Epitoma non di rado viene ridotta al rango di mera antologia. Scopo di questo contributo è mostrare, al contrario, come entrambe le opere mostrino indiscutibili caratteri di originalità e innovazione. Delle Historiae Philippicae di Pompeo Trogo si porrà in evidenza la frequente contaminazione tra fonti orali e scritte, particolarmente rilevante negli ultimi quattro libri (XL-XLIV). Questa sezione, infatti, presenta una cospicua serie di notizie non riportate da altre fonti e che possono essere ricondotte a quel patrimonio di testimonianze oculari e memorie locali a cui Trogo poteva attingere per provenienza geografica e tradizione familiare. Dall’analisi, invece, della tecnica escertoria di Giustino sarà possibile notare come lo stesso criterio di selezione del materiale, a cui spesso si accompagnano veri interventi sul testo, abbia prodotto un’opera nuova per taglio e stile, caratteristiche che permetteranno di formulare nuove ipotesi sulla cronologia e sulle possibili finalità del breviario.

La testimonianza agostiniana sull’"Epitoma" di Giustino

Scritto da Anna Busetto.

Il passo di August. Civ. 4, 6 costituisce – a un’attenta analisi terminologica – un importante (e finora piuttosto trascurata) testimonianza sull’Epitoma giustinea. Agostino è il primo a sottolineare natura e contenuti dell’opera di Trogo-Giustino (Graecam vel potius peregrinam… historiam) e la metodologia di lavoro di Giustino. Affermando che egli “seguì” (secutus) Trogo Pompeo, Agostino enfatizza l’originalità della rielaborazione delle Historiae Philippicae, contraddistinta dall’imitatio, secondo la tipica, secolare attitudine ideologica degli scrittori latini. La testimonianza agostiniana termina con breviter scripsit historiam, espressione che suggerisce come il vescovo di Ippona condividesse la percezione giustinea dell’autonomia della propria opera rispetto al modello. Ciò sembra trovare conferma e contrario nelle parole di Orosio (Hist. 1, 8, 1), che definisce Giustino “breviator”, negandogli lo status di historicus attribuito invece a Trogo. Agostino è dunque un testimone di rilievo, poiché sottrae Giustino da quell’opinione riduttiva che, dalla tarda antichità, sarebbe approdata alla critica moderna, condensandosi nella celebre definizione di Ronald Syme «a text rather than a personality».

‘Astuzie’ di tecnica centonaria ed esegesi testuale

Scritto da Maria Teresa Galli.

I centoni sono componimenti che ruotano attorno ad una sfida singolare: utilizzare esclusivamente versi (o segmenti di versi) di un grande poeta del passato per dare vita a testi nuovi, aventi un argomento non trattato nel testo preso a modello. Il lusus su cui essi si basano è estremamente sottile e presuppone da parte del centonatore non solo erudizione, ma anche capacità tecnica e combinatoria. Nel presente intervento mi propongo di analizzare alcuni dei mille ‘equilibrismi’ che il compositore centonario escogita per raggirare i numerosi ostacoli che trova via via sul proprio percorso. Il discorso sarà condotto attraverso una serie di esempi tratti ora dalla Medea di Osidio Geta, oggetto della mia tesi di Perfezionamento, ora dai Vergiliocentones minores, altri centoni del codice Salmasiano di cui mi sto attualmente occupando nel contesto del progetto CALCOS finanziato dalla Provincia Autonoma di Trento (Bando ‘post-doc 2011’, determinazione del Dirigente n. 2 del 27 gennaio 2012). Attraverso un’analisi condotta in parallelo su più esemplari centonari di epoche e di autori differenti si vedrà come l’esame delle ‘astuzie’ compositive e di alcuni errori tecnici comuni a più testi possa essere d’aiuto all’editore, che a sua volta è chiamato a trovare un equilibrio tra uniformazione al testo virgiliano del testo tràdito e conservazione delle ‘stravaganze’ centonarie.

Poesia centonaria: rapporto con il modello e critica del testo

Scritto da Mario Del Franco.

Il contributo presenta in breve i principali problemi ecdotici riguardanti la Medea di Osidio Geta: ci si sofferma in particolare sui possibili rapporti tra il testo del centone quale è riportato dal Codex Salmasianus (Par. lat. 10318) e la tradizione manoscritta dell’opera virgiliana. Al termine dell’articolo sono illustrate alcune questioni che si ritengono esemplificative dello stato testuale della Medea e delle difficoltà da esso poste.

L’ordine delle parole in latino alla luce dell’analisi in costituenti: esempi dal sintagma nominale

Scritto da Rossella Iovino.

Il termine “sintagma” è noto non solo in ambito linguistico, ma anche in quello filologico. Tuttavia in quest’ultimo si fa riferimento al sintagma per lo più nel suo significato etimologico di “composizione” e/o “combinazione” di elementi, dunque con un’accezione diversa rispetto a quella diffusa in linguistica. Lo scopo principale di questo lavoro è di illustrare il concetto di sintagma (o “costituente”) così come viene correntemente utilizzato in linguistica, cioè nell’accezione di una sequenza di elementi linguistici che costituisce un’unità sintattica. Oltre a ciò, saranno discussi degli esempi di espressioni nominali latine selezionate da un corpus che include la produzione letteraria di autori attivi dalle origini della letteratura latina fino al IV secolo d.C. Si noterà che l’ordine delle parole del latino è molto libero, ma può essere spiegato e compreso alla luce di una struttura sintattica precisa che include un ordine di base e altri ordini derivati mediante diversi tipi di movimento sintattico.

Per un’edizione del prologo dei "Menaechmi"

Scritto da Giorgia Bandini.

Nel prologo dei Menaechmi, così come si presenta nella tradizione manoscritta, rappresentata in questo caso dai soli Palatini, sono state rilevate incoerenze ed incertezze tali da evocare l’ombra di un retractator e da proporre l’espunzione di questo o quel verso o, ancora, una differente disposizione dei versi (da ultimo Gratwick traspone i vv. 72-76 dopo il v. 10, ipotesi accolta anche nella recente edizione di de Melo). Forse quelle che sono state avvertite come difficoltà messe in conto a tagli, aggiunte e rifacimenti successivi dipendono invece dalla vena di Plauto, dal suo gusto per certe ‘potenzialità’ della vicenda, anche a scapito di qualche incoerenza, e soprattutto dalla logica stessa della comunicazione teatrale. Invece quanto al v. 13, una diversa lettura metrica, con due iati stilistici, risolverebbe i problemi testuali.

A proposito di "sicilicissitat" ("Menaechmi" v. 12)

Scritto da Marianna Calabretta.

Questo lavoro si propone di mostrare il significato autentico di sicilicissitat presente nei Menaechmi al verso 12. Questa parola è stata interpretata in modo diverso e talvolta erroneamente. Secondo le interpretazioni proposte dagli studiosi moderni la discussione si è ulteriormente complicata a causa della ricostruzione etimologica del verbo. Per tornare al vero significato della sicilicissitat da Plauto, ho analizzo l’uso della parola sicilicus in autori latini; poi ho discusso le ipotesi di ricostruzione etimologica e semantica proposte dagli autori ed ho messo in evidenza il significato più interessante di sicilicus relativo al suo valore nel sistema monetario.

"Solito vehementius aliquid". Le esigenze della morale tra nuovo e antico in alcune epistole senecane

Scritto da Stefano Costa.

Analizzando le lettere 95 e 82 di Seneca si possono avanzare considerazioni sull’idea dell’autore a proposito dell’evoluzione della scienza filosofica. La prima lettera contempla la necessità di unire i più evoluti decreta ai più semplici praecepta, dal momento che Seneca crede che l’antica simplex virtus sia ormai incapace di contrastare le moderne forme del vizio; d’altra parte il filosofo non disconosce l’importante ruolo giocato nell’educazione morale dagli esempi degli antichi protagonisti della storia romana. Tale opinione è confermata dalla lettera 82 nella quale i richiami ai fatti e detti del buon tempo antico controbilanciano gli eccessi della filosofia moderna. I confronti con Cicerone, Orazio e Seneca retore pongono in evidenza l’importanza di Seneca nella letteratura filosofica della prima età imperiale e i suoi sforzi per rinnovare il suo repertorio paradigmatico.

Seneca e i suoi molteplici modelli: alcune suggestioni intertestuali in "Ep." 82 e 95

Scritto da Laura Aresi.

Scopo del presente contributo è quello di estendere l'intervento di Costa investigando l'influenza di alcuni grandi modelli romani nello sviluppo di alcuni temi fondamentali della filosofia senecana, che emergono dalle Ep. 82 and 95 (con poche parole anche riguardo ad altre epistole). Per quanto riguarda il primo tema, ovvero la critica degli accessi di astrattismo degli Stoici nei sillogismi, vorrei proporre alcuni confronti con Cicerone (per la ripresa di alcune parole-chiavi come interrogatiuncula) e Orazio (per l'influenza di un certo ‘bionismo’ in Sat. II 3 and I 4). Quindi, in riferimento al secondo tema, ovvero la degradazione dei tempi moderni, per adeguarsi ai quali la virtù è costretta a raggiungere forme di speculazione sempre più complessa, suggerisco una lettura intertestuale tra Seneca e Seneca il Vecchio (Con. 2, 1, 18).

"Lactentes ficus" e "lactentia coagula". Una riflessione su Caper. "Gramm." VII 98, 2s. = Lucil. 1198 M.

Scritto da Claudio Faustinelli.

Un passo problematico del De orthographia dello Ps.-Capro (Caper. Gramm. VII 98, 2s.: lactens lacte abundans ut lactentes ficus Lucilius dicit lactentia coagula cum melle bibi) tramanda un verso di Lucilio (Lucil. 1198 M.): sulla costituzione del testo di questo frammento non c’è accordo tra gli studiosi. Nel presente contributo, l’autore attribuisce a Lucilio l’esametro incompleto lactentes ficus cum melle bibi: la locuzione lactentes ficus è un’espressione gastronomica che indica ‘formaggio fresco e molle cagliato con il lattice di fico ed avvolto (nonché insaporito) da foglie di fico’. Le parole lactentia coagula non appartengono né a Lucilio né ad un altro auctor antico: esse sono una glossa vergata dal grammaticus per chiarire che Lucilio, nel passo citato, sta parlando di ‘formaggio con abbondanza di latte, cremoso’ (lactentia coagula). L’intera frase dello Ps.-Capro può essere tradotta come segue: «Lactens significa ‘con abbondanza di latte’, per esempio: “ficus lactentes” (Lucilio intende ‘formaggi con abbondanza di latte’) “ho bevuto col miele”».

Uso e 'abuso' degli "auctores": nota al modo di citare dei grammatici

Scritto da Ilaria Baldini.

Le due citazioni classiche, rispettivamente di Lucilio e Orazio, contenute nel passo del De orthographia dello pseudo-Capro (GL VII 98, 1-4) hanno attirato l'attenzione sul modo di citare dei grammatici tardoantichi e dello pseudo-Capro in particolare. L'indagine condotta sulla citazione oraziana lactea laudas brachia, considerata solo dal Bentley variante di tradizione indiretta, valida e da porre a testo rispetto al cerea brachia tràdito dai manoscritti, ha messo in luce alcuni risultati interessanti. Sono state chiarite le basi che avevano spinto il Bentley ad operare la sua scelta; inoltre, l'analisi circa l'uso, nella poesia latina, e più nello specifico in Orazio, degli aggettivi cereus e lacteus, ha permesso di attribuire lo status di unicum poetico al sintagma cerea brachia di Odi II 13, 2s. e, allo stesso tempo, di far luce sulla notevole disinvoltura che lo pseudo-Capro impiegò nell'estrapolare citazioni classiche da inserire come exempla nel suo trattato.

Rappresentazioni del dono nella cultura romana. Teoria e prassi del "beneficium": dal "De officiis" di Cicerone al "De beneficiis" di Seneca

Scritto da Alice Accardi.

Il lavoro di ricerca da me svolto si propone di analizzare le rappresentazioni del dono nella cultura romana a partire dagli unici due testi della latinità che mettono a punto una teorizzazione esplicita dello scambio di beneficia, ossia il De officiis di Cicerone e il De beneficiis di Seneca. Gli studi su questi trattati si sono concentrati principalmente sulla ricostruzione delle fonti stoiche ispiratrici delle opere. L’approccio da me proposto cerca, invece, di fornire un esame in chiave antropologica del tema del beneficium, il quale presenta numerose analogie con il motivo del dono e della sua necessaria restituzione, tema classico negli studi antropologici. Per entrambi gli autori il beneficium è il perno attorno al quale ruotano i rispettivi progetti di riforma sociale perché svolge l’essenziale funzione di fondare la società creando e mantenenedo i legami interpersonali, ma mentre per Cicerone le pratiche benefiche devono ispirarsi all’utilitas communis, per Seneca il motore principale della beneficentia sono benevolentia e amor che soli possono garantire la salvaguardia della relazione e della reciprocità. Uno degli scarti più significativi tra le rappresentazioni dei due autori si può, quindi, cogliere nell’estrema attenzione riservata dal filosofo di Cordoba alla relazione e al valore di legame che si viene a creare tramite lo scambio di beneficia. L’importanza del contesto relazionale emerge in numerosi passi del trattato ed è evidente anche nell’operazione senecana di riscrittura della nozione di perdita del beneficio. Il nesso tra dono e perdita, infatti, attraversa come un filo rosso il De beneficiis di Seneca e può essere utilizzato come “grimaldello euristico” per comprendere la più generale operazione senecana di ristrutturazione delle categorie usate dalla cultura romana per definire lo scambio di prestazioni. Questo singolo caso di studio offre, inoltre, la possibilità di riflettere su dinamiche più generali di ordine socio-antropologico legate al sistema del dono e del sacrificio ad esso collegato.

Riflessioni sul "De beneficiis" di Seneca: per una pragmatica del dono

Scritto da Simona Laura Rampulla.

Nel De beneficiis di Seneca l'ingratitudine è interpretata come fenomeno alla base della stasi del bene facere e del decadimento della società in generale, ma essa è anche spia della logica utilitaristica sottesa alla pratica benefica. L'analisi pragmatica condotta su De ben. 7, 29, 1s. e 7, 32, 1 permette di evidenziare come il dans, abbandonando le disfunzionali strategie di comunicazione, abbia la possibilità di agire sul comportamento dell'accipiens. Il dans, a dispetto dell'ingratitudine dell'accipiens, è eticamente obbligato ad assolvere al suo ruolo elargendo nuovi benefici (pertinacia in dandum che è segno di bona voluntas) e grazie alla reiterazione del dono riesce a rendere grato l'accipiens e a dare avvio al meccanismo di reciprocità. L'abbandono della logica della computatio, che proviene dal concetto di bene ponere e che implica il binomio oppositivo damnum/lucrum, e l'adozione di un'idea non utilitaristica di beneficium, non è utile semplicemente alla realizzazione di entrambi gli attori, ma dà pragmaticamente inizio a un processo di “contagio di virtù” che ha il valore aggiunto di porre fine all'ingratitudine dell'accipiens.