Il mito, tra varianti e variazioni. Introduzione
La presenza del mito è uno degli elementi che maggiormente caratterizzano la produzione letteraria dell’antichità greco-romana: esso non solo fornisce gran parte del materiale narrativo ai suoi due generi più impegnati e influenti, l’epica e la tragedia, ma rappresenta anche un bacino inesauribile di riferimenti paradigmatici e forme di pensiero per molti altri generi, dalla lirica all’elegia, dalla storiografia all’oratoria e alla filosofia, per tacere dei riusi parodici in commedia, nella satira e nel romanzo. Tale pervasività del mito, che ne fa una sorta di codice universale del mondo antico, è al tempo stesso causa ed effetto della sua complessità: ciò che lo contraddistingue è infatti la sua natura dinamica, in virtù della quale esso non giunge mai a una forma univoca, ma è costantemente caratterizzato da ri-narrazioni, adattamenti, reinvenzioni, che dipendono dalla trasformazione dei contesti antropologici e socioculturali – si pensi al fenomeno della invention of tradition – ma anche dalle esigenze espressive dei diversi codici comunicativi e generi letterari. Come ha scritto Jean-Pierre Vernant, «il racconto mitico comporta sempre varianti, versioni multiple che il narratore trova a sua disposizione, che sceglie a seconda delle circostanze, del suo pubblico o delle sue preferenze personali, e dove lui stesso può sottrarre, aggiungere e modificare ciò che gli sembra necessario».
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